Droni da Guerra: Storia e Curiosità

droni da guerra

I droni da guerra vengono utilizzati per diverse ragioni nel contesto bellico: trasporto di attrezzature, sorveglianza, cattura immagini e video e anche per la consegna e sgancio di bombe. Si tratta di velivoli telecomandati: sono anche definiti Unmanned Air Vehicle (UAV), dal momento che a bordo non c’è alcun equipaggio. In questo focus andiamo a scoprire quali sono le origini di questi dispositivi e le loro principali tipologie.

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Droni da guerra

Quando parliamo di droni da guerra o militari ci riferiamo ad una tecnologia che ha cambiato radicalmente il modo in cui i Paesi portano avanti i conflitti o proteggono i loro territori. Sono macchine programmate con istruzioni molto precise: in quest’ottica tecnologia e tattica sono due fattori determinanti per il successo.

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Tutte le potenze mondiali si sono dotate di droni militari: dalla Cina (che è uno dei paesi che sta investendo di più) all’America (gli attacchi ai terroristi dell’Isis e non solo sono emblematici), ma anche l’Italia è una delle grandi protagoniste. Il nostro paese infatti ha svolto diverse missioni internazionali utilizzando tali dispositivi.

Un po’ di storia

I sistemi aerei senza equipaggio hanno un ruolo determinante all’interno di un conflitto: per questo motivo le forze militari hanno un grande interesse per quanto riguarda lo sviluppo di droni da guerra. Possiamo dire che il concetto di un dispositivo senza equipaggio fece la sua prima comparsa nella Grande Guerra: non furono gli USA, ma bensì la Francia ad iniziare lo sviluppo di un velivolo senza pilota. Merito del presidente del Senato dell’epoca, Georges Clémenceaus.

Anche nella Seconda Guerra Mondiale si è continuato a parlare di velivoli d’osservazione senza pilota, specie dopo le innumerevoli perdite subite dagli aerei di ricognizione. Tuttavia non fecero alcuna comparsa nemmeno nel conflitto del 1939-1945. Bisogna aspettare la guerra del Vietnam, dove droni da ricognizione vennero utilizzati per la prima volta. Citiamo in questo senso anche la guerra del Kippur del 1973, dove se n’è fatto uso.

Arriviamo così ai giorni nostri, in cui gli UAV strategici e tattici sono utilizzati molto spesso all’interno dei confitti. Ad esempio in Siria diversi droni militari americani hanno attaccato convogli Isis e russi. Si capisce come anche il concetto stesso di guerra sia cambiato con l’avvento di queste tecnologie: i droni infatti possono essere mandati sulle linee nemiche senza alcun timore di perdite umane.

Tipologie

Ci sono almeno tre principali tipologie/classi di droni da guerra. Essi infatti vengono classificati in categorie e sottocategorie in base al peso, autonomia, capacità e velocità. Partiamo dai droni da guerra di classe I: pesano meno di 150 kg e hanno un’autonomia di 12 ore. Raggiungono una velocità massima di 100 km/h e possono salire non sopra i 4mila metri. La loro capacità è di 8 kg e possono atterrare sull’acqua.

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Passando ai droni da guerra di classe II, diciamo subito che essi possono pesare tra i 150 e i 600 kg. Vengono utilizzati perlopiù per ragioni tattiche, soprattutto in situazioni di ricognizione e acquisizione del bersaglio, Sono resistenti e robusti, e riescono ad offrire una corretta valutazione dei danni.

Infine, ecco i droni da guerra di classe III: pesano più di 600 kg e si tratta di dispositivi strategici. Sono resistenti e particolarmente indicati per segnalare la posizione delle forze nemiche e dei civili.

Droni da guerra: l’Italia è in pole position

Parlavamo dell’Italia come una delle protagoniste dello sviluppo di droni da guerra. E in effetti i numeri parlano chiaro: secondo i dati pubblicati lo scorso anno da Mil€x, il nostro Paese avrebbe speso nel 2018 20 milioni di euro per armare i propri droni militari. L’Osservatorio sulle spese militari ha dichiarato che l’Italia è pronta per trasformare i propri droni in vere e proprie armi da guerra.

I droni italiani APR (Aerei a Pilotaggio Remoto) Predator B hanno iniziato la procedura per l’armamento. Ci sono altre cifre che fanno riflettere: l’Italia infatti ha stanziato quasi 700 milioni di euro di spesa per i droni: si tratta principalmente di mezzi da ricognizione. 211 milioni sono stati spesi per il programmaNato AGS per l’acquisto di 15 velivoli, altri 142 milioni per sei Reaper prodotti dalla statunitente General Atomics (sono proprio i famosi Predator B che l’Italia sta armando per l’attacco), e infine 95 milioni per i nove Predator A acquistati dal 2005 al 2015.

Fino ad ora l’argomento droni da guerra in Italia è rimasto abbastanza sotto traccia. Quello che è sicuro è che anche il Bel Paese sta investendo non pochi soldi.

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