Biometria vocale: come i dati personali sono tutelati dalla legge

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Chiamare la propria banca, autenticandosi e autorizzando telefonicamente le nostre operazioni finanziarie, senza dover seguire complicate routine oppure rispondere a una serie di noiose domande di sicurezza. Per consumatori e aziende è un vantaggio sicuramente sempre più apprezzato, quando viene stabilito il giusto compromesso fra gli alti livelli di sicurezza – necessari per proteggere a dovere dati e informazioni sensibili – e una customer experience fluida e piacevole.

Tuttavia, resta uno sfumato scetticismo verso l’autenticazione vocale: Spitch, azienda internazionale specializzata nello sviluppo e nell’implementazione di soluzioni basate sulle tecnologie vocali, ha cercato di fare chiarezza su alcuni discussi aspetti della biometria vocale, illustrando le tutele garantite dalla legge (e soprattutto dalla migliore tecnologia).

La biometria vocale non è abbastanza sicura

Al contrario, le soluzioni biometriche vocali offrono un livello di sicurezza maggiore rispetto alle tradizionali procedure di verifica basate su sistemi di password e domande di sicurezza. La voce umana è invece qualcosa che “è” (concetto di “inerenza”), un insieme di caratteristiche biometriche praticamente impossibili da replicare.

È vero che alcuni sistemi “artificiali” cercano di riprodurre la voce umana, ma la sicurezza viene garantita da soluzioni biometriche sempre più accurate, e ovviamente anche dall’utilizzo di sistemi di autenticazione a doppio fattore. Infatti la biometria vocale deve essere utilizzata – seguendo fra le altre le prescrizioni della PSD2, entrata in vigore il 14 settembre 2019 – in combinazione con altri fattori di autenticazione, specialmente nei casi sensibili e di operazioni di pagamento.

La privacy non è sufficientemente protetta

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Con la crescita della consapevolezza sul tema, sempre più consumatori si chiedono: cosa faranno le aziende dei miei dati personali? Sebbene le impronti vocali, di per sé, siano dei modelli matematici e non contengano dati personali che rientrano nella definizione del GDPR, normalmente esse vengono collegate ad altre informazioni sensibili dei clienti (esempio nome e identità) e, quindi, devono essere trattate in conformità con il Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati.

Dunque, la normativa protegge i dati biometrici: i potenziali rischi per la privacy potrebbero derivare piuttosto da soluzioni poco accurate, o da intenzioni etiche discutibili delle aziende a cui l’utente si affida, che potrebbero non essere necessariamente in linea con le aspettative del cliente e della legge. Lo stesso vale, purtroppo, anche per il trattamento di qualsiasi altra tipologia di dati sensibili.

Una volta condivisi i dati, si perde il controllo su di loro

I consumatori hanno sempre il diritto di “opt-out” sulla condivisione dei propri dati biometrici. La cancellazione è consentita e in alcuni casi prescritta dal GDPR, ad esempio, se la raccolta e il trattamento dei dati personali siano stati condotti illecitamente, ma gli utenti possono anche rivendicare il diritto, in determinate circostanze, di far rettificare, bloccare o cancellare i propri dati personali (ad esempio perché non sono più clienti dell’azienda che conserva questi dati).

Il consenso del cliente deve essere sempre richiesto quando si tratta di dati personali dei cittadini dell’Unione Europea, con un’esplicita menzione e rinnovata protezione nel caso in cui i dati vocali vengano potenzialmente trasferiti a terze parti non basate all’interno dell’UE.